Un conturbante viaggio agli inferi, in una Roma surreale, alla ricerca di un padre scomparso.
Pintor è un medico che ha lavorato tutta la vita al Policlinico. È un uomo dedito alla ricerca, innamorato della scienza. Un giorno, nella maniera più discreta possibile – abbandonando i suoi occhiali sul comodino – toglie il disturbo scomparendo nel nulla e lasciando i figli senza un perché. Mentre il resto della famiglia lo dà per defunto, Fabio e Lara non credono alla morte del genitore e decidono di cercarlo. Alcuni diari del padre indirizzano i due figli verso l’ospedale, nel frattempo chiuso e abbandonato. E se Pintor fosse proprio in quel Policlinico tanto amato, in qualche ala dimenticata, a portare avanti i suoi esperimenti? Fabio e Lara decidono così di avventurarsi tra laboratori sotterranei e padiglioni decaduti, in una città dei miraggi popolata di voci e visioni, dove i confini fra realtà, ricordi e immaginazione si fanno via via più labili.
Piero Salabè firma un romanzo toccante e profondamente umano, popolato da personaggi straordinari. Una storia poetica e di debordante inventiva che è un corpo a corpo serrato con la memoria, con il desiderio di mantenere in vita, a ogni costo e con ogni mezzo, chi non c’è più.
1) Prima tappa, risposta a due domande.
– Il romanzo “Mortacci mia”, è ambientato a Roma, "oscuro ombelico del mondo", città in cui il narratore è nato e da cui non riesce a liberarsi. Come mai?
“Mortacci mia” è un romanzo sull’impossibilità di scampare alla propria origine, a prescindere da dove si è nati: che sia una grande città, un borgo di provincia o un paesello sperduto. Nel romanzo il rapporto con l’origine appare ambiguo: nel racconto il narratore Fabio, ad esempio, va in cerca del padre scomparso nell’ospedale abbandonato, ma non è chiaro se lo fa per riabbracciarlo e per liberarsi dalla sua ombra ingombrante. Nasciamo nel seno di una famiglia, restandone legati finché giunge il momento del distacco. Ed è quando ci si rende conto quanto difficile, forse impossibile sia sciogliere quel legame profondo. Fabio va a vivere all’estero, lasciando dietro a sé Roma, una città decadente, che non sembra offrirgli un futuro. Eppure, continua a tornarci, mosso da un’attrazione fatale. C’è una frase che lo ossessiona: “A Roma si viene solo a morire”. Ma di che morte si tratta, si chiede il lettore: una morte reale o forse una morte simbolica per potere rinascere, libero dal peso del passato irrisolto? È questo il tema del libro. Nel romanzo di formazione si narra il percorso di un eroe dall’infanzia e adolescenza all’età adulta, in “Mortacci mia”, invece, sembra prevalere la regressione, il non riuscire a diventare pienamente adulto, il restare bambino. A un certo punto il narratore dice: “La storia che segue si svolge nel tempo e ha un inizio e una fine, ma l’adulto che la racconta a tratti rimpicciolisce fino a tornare ragazzo, persino bambino.“ Il romanzo descrive la lotta fra sentimenti contrastanti, da un lato la voglia di liberarsi dall’ombra del padre e della città, dall’altro, invece, l’indulgere nostalgico.
– La nostalgia, che tipo di sentimento è?
La nostalgia, come dice la radice greca della parola, è “il dolore del ritorno”: si soffre lo stare via da casa.” Credo che tutti conoscano questo sentimento, che riguarda non solo “la casa”, ma il passato in generale. Spesso ci si abbandona alla nostalgia, voluttuosamente, preferendo di vivere in un’epoca trascorsa che si ricorda come felice, idealizzandola, anziché misurarsi con il presente. E può capitare che la nostalgia divenga morbosa, perché impedisce di vivere il presente. Il narratore di “Mortacci mia”, è “malato di nostalgia”, come rivela nella prima pagina del romanzo: lui, che vive all’estero, continua a tornare nella sua città. “La città era sempre là, immutata. Ancora una volta, l’aveva vinto, l’aveva fatto ritornare inerme, bambino.” Il ritorno corrisponde a una sorta di regressione, qualcosa per cui il narratore prova vergogna. Spera allora che raccontando la sua storia, possa liberarsi finalmente dal sortilegio della nostalgia. Ecco che inizia a rievocare il suo passato nella città, nella casa, nella famiglia. Il romanzo “Mortacci mia” descrive, dunque, una lotta contro la nostalgia: il bilancio è incerto, non è chiaro come finisca questa lotta che forse non produce che un ulteriore avvinghiamento nella nostalgia. Una soluzione ci sarebbe, forse, come emerge in una scena del romanzo, quando il narratore Fabio partecipa con la sorella Aič a un gioco, una strana mosca cieca: “Vince chi riesce a uscire per primo dalla casa, a togliersi per sempre la benda, a non volere mai più tornare”.