La smemorata dei Parioli. E altri racconti di Stefano Brusadelli. Edito Palombi Editori.
Paolo Dentici, il protagonista
de La Smemorata dei Parioli, “è arrivato a Roma
da una piccola città sull’Adriatico più con l’intenzione di fuggire
dall’oppressione della provincia che con quella di laurearsi“. Col risultato,
inevitabile, di ritrovarsi fuori corso, angustiato dalle penurie economiche,
con sempre nuove ambizioni e sempre meno scrupoli.
Si affida ormai solo al caso, è un animale predatore, vive in una zona grigia. Si getta a capofitto nella relazione con una vedova benestante, ma solo perché ritiene che tale relazione gli consenta “di affinare gli usi di mondo, collaudandolo per future imprese che già pregustava e che avrebbe voluto collocare in quello stesso ambiente della buona borghesia dei Parioli che andava piacendogli sempre di più“.
Una tipica debolezza di molti uomini di Chiesa è la vanità. Abituati a essere oggetto di reverenza, a vedere il prossimo pendere dalle proprie labbra, talvolta – come i militari - mal si adattano alla pensione. C’è chi, come Don Salvatore, parroco di un quartiere borghese, protagonista de Il segreto del prete, vuole continuare a esercitare il suo carisma (e a soddisfare lo stomaco), conducendo un gioco sottile (“dico, non non dico”) con segreti di confessionale. E lo fa facendosi invitare a cena dalle pie donne della parrocchia.
“Seduto in mezzo a loro, Don Salvatore è in paradiso, con la
tonaca impataccata e la faccia da contadino satollo, le mani grasse che non la
smettono un attimo di trafficare tra coltelli, forchette, cucchiai, pane e
bicchieri e la calata siciliana che neppure quarantatré anni passati a Roma
sono bastati ad annacquare“.
Anche il professor Alessandro Cicala,
ortopedico ricco e affermato, pecca di vanità. Per lui, che negli anni della
scuola è stato vittima di ogni tipo di sopruso e mortificazione da parte dei
compagni di classe, la soddisfazione consiste nell’ostentare la condizione che
si è conquistato. Solo per questo decide di partecipare alla cena per il trentennale
dell’esame di maturità. Eccolo, quindi, in Ragù alla napoletana, fare il
suo ingresso nel locale economico dove si svolge la rimpatriata.
“Il suo stesso
aspetto avrebbe dovuto certificare il nuovo stato, cosicché si era risolto a
scegliere un abito gessato in fresco di lana più consono a un matrimonio che a
una mangiata in trattoria, e aveva persino deciso di usare il suo fuoristrada
di grande cilindrata. Non che non avvertisse l’inopportunità di tali
ostentazioni: ma andava solo per raggiungere uno scopo, e tutto ciò che poteva
servire al raggiungimento di quello scopo bisognava farlo“.
Tra i giornalisti, più che altrove, è diffusa la permalosità. Forse per una certa tendenza della categoria a sovrastimarsi. Esemplare di questa inclinazione è Ettore, redattore di un quotidiano romano, protagonista di Permalosità, che per il più futile dei motivi interrompe la sua amicizia con i colleghi Adriano e Fabrizio, volgendola addirittura in un’avversione ai limiti dell’odio.
Ecco come riduce la sua esistenza.
“Seguiva con ossessiva attenzione tutti i movimenti nei giornali, nelle
agenzie, nelle televisioni, al solo scopo di poter predisporre con largo
anticipo fuochi di sbarramento contro Adriano e Fabrizio. Per ridurre le
probabilità di doverli incontrare, prese a disertare tutti gli inviti di
comuni conoscenti. Si chiuse nel perimetro di un triangolo i cui lati erano la
redazione, la sua casa e il parco adiacente. Iniziò a utilizzare sempre più
scopertamente i suoi articoli per mettere in berlina i pezzi degli altri due;
il che gli valse prima l’ironia dei colleghi, poi una pubblica reprimenda del
direttore.“
“Figlia
di un tranviere e di una sarta del quartiere Monteverde, la signora Romilda era
stata messa incinta a 20 anni e sposata al quinto mese di gravidanza
dall’ingegner Giorgio P. appartenente ad una schiatta della borghesia romana
tanto ricca di mezzi quanto povera di scrupoli“.
Dinanzi al (prevedibile) ostracismo della famiglia d’adozione, la signora Romilda risponde con una mutazione. Che, in Lettere dall’aldilà, diventa l’anticamera della vendetta.
“Dedicatasi all’esoterismo e alla necromanzia, vestita con voluta trasandatezza, i capelli malcurati e raccolti sempre in una coda tenuta con l’elastico, gli occhiali scuri anche col buio, fornì essa stessa alla famiglia del marito i motivi evidenti ed incontrovertibili per tenerla a distanza; compiendo così il capolavoro di far apparire tale esclusione come frutto del timore che incuteva e non più della scarsa considerazione che suscitava“.
Tullio
M. appartiene a “quella
categoria di esseri umani che crescono con la convinzione di avere il mondo in
tasca, e perciò nel duro cammino della vita si concedono tutte le soste e le
deviazioni che gli suggerisce il loro capriccio. Con la conseguenza di
trovarsi, tra i quaranta e i cinquant’anni, già sperduti nel buio della notte“.
Con alle
spalle un divorzio che lo ha prosciugato economicamente, una figlia da
mantenere e un lavoro che giudica mortificante sia dal punto di vista delle
mansioni che dello stipendio, cosa può fare il protagonista di Qualcuno su
cui contare se
non affidarsi (siamo a Roma), alla riconoscenza di un vecchio compagno di
classe diventato un politico influente ?
Povero Tullio M…
A
vederlo, l’uomo intorno alla quale ruota la vicenda de La borsa dello zio
Augusto, è uno dei tanti travet che popolano la Roma degli studi
professionali.
“Piccolo di statura, glabro, taciturno, cagionevole di salute, con dei piedi piccolissimi calzati sia d’estate che d’inverno dentro mocassini di pelle nera che li facevano sembrare ancora più piccoli. Maritato con un’infermiera più alta e grossa di lui, reputato da tutti integro e serio, non era però riuscito ad andare al di là di una mansione da impiegato in uno studio legale“.
Un tale campione del senso del dovere nasconde però una debolezza: essere considerato, dai parenti, come il custode di indicibili segreti. Nascosti, appunto, in una borsa.
Nessun commento:
Posta un commento