martedì 3 giugno 2025

Blog Tour di Piero Salabè "Mortacci mia" edito La nave di Teseo. 2 Tappa

  

Seconda tappa


–  Il rapporto fra il fratello e la sorella, Fabio e Aič, che cercano il padre scomparso, come lo descriveresti?

Nel romanzo, nel capitolo 18., si dice che sono gemelli “siamesi con due teste e un solo cuore”. È una metafora per indicare la complementarità. Sono, infatti, le uniche due persone nella famiglia a credere che il padre sia ancora vivo, mentre gli altri lo danno per morto, e nella loro ricerca hanno bisogno l’uno dell’altro. Forse più  Fabio di Aič, nonostante lei sia più piccola. Fabio ha paura di dormire da solo nel buio, vuole che nel letto accanto ci sia Aič, che è ben più coraggiosa di lui. Sarà sempre la sorella la prima ad avventurarsi nei cunicoli, nei passaggi più infidi che conducono verso il padre: è lei la vera forza propulsiva della ricerca. Una forza irrazionale, passionale, non mediata da pensieri e calcoli; è più altruista,  mossa da “amore puro” verso il padre, anche se il fratello critica il suo attaccamento che definisce morboso. Fabio, invece, è descritto come più egoista, persegue la ricerca per motivazioni proprie, fa “esperimenti dell’anima”, e la sorella intuisce che la sua fedeltà al padre non è assoluta come la sua. Nel testo affiora in certe scene oniriche anche un’attrazione di Fabio verso la sorella: “fra cento sorelle quest’una / che mi mangia il cuore e io il suo”, cita lo scrittore austriaco Robert Musil, che aveva sviluppato un concetto utopico di “Geschwisterliebe”, fusione fra fratello e sorella. È certo che Fabio e Aič si potrebbero interpretare come le due parti di un unico personaggio, il cui il fratello rappresenta il maschile (animus) e la sorella il femminile (anima), ma non credo che con queste categorie colgano appieno il rapporto dei due, caratterizzato da dolcezza, affetto, ma anche da una latente voglia di sopraffazione da parte del fratello.  

- Il Frocio di Frosinone, il Libico, il Libanese: come ti sono venuti in mente questi personaggi?

“Il Frocio” è un personaggio che conosce a menadito i collegamenti segreti e i bassifondi di Roma. Avevo bisogno di una figura che aiutasse Fabio e Aič, a trovare un passaggio per l’ospedale chiuso. L’ho battezzato, “Il Frocio di Frosinone” perché mi piaceva l’idea di una particolare marginalità, qualcuno che conoscesse la città venendo da fuori. “Il Frocio” si fa chiamare lui stesso così, il nome non è, dunque, spregiativo, tutto il contrario: è una figura profonda, che dopo una crisi ha fatto un radicale cambio di vita. Confesso che mi piace giocare con i nomi, così anche con quello del Libico, Abu Ridou, un biologo fuggito via mare dalla Libia in guerra, che all’Università di Roma trova solo  un impiego in nero, nella stanza delle fotocopie. Abu Ridou, letto di fila, in spagnolo significa “annoiato” (“aburrido”). Il Libico è annoiato dalla vita, una noia “esistenziale”, perché approdato in Italia con la speranza di una vita migliore, si vede relegato, malgrado sia una persona di grande cultura.  Sono destini comuni dei rifugiati, spesso vittima di pregiudizi. Come nel caso del Frocio, volevo dare dignità, a una figura della marginalità. Il Libico, con il suo pessimismo radicale si oppone a una certa tendenza edificante del romanzo: “Mortacci mia” celebra la ricerca di un senso umano, ma il Libico ci ricorda che questo senso forse non esiste e non è null’altro che una nostra costruzione consolatoria. Infine, il Libanese: da tecnico del suono può aiutare Fabio a interpretare meglio i rumori dietro alle pareti del Policlinico abbandonato. Questa figura, in realtà un ebreo ungherese di nome Gluckstern, veniva chiamato il Libanese perché  da giovane vagheggiava di un luogo, in Libano, dove pensava si trovasse “la folgore bianca dell’Ognidove.” È un mistico che crede nell’esistenza di una frequenza in cui tutti i suoni, del presente e del passato, convergono e dunque nulla, della vita, vada perduto. 

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