Prima tappa: La poesia è cyberpunk
La scrittura, per me, nasce come gesto intimo e necessario:
è il tentativo di trattenere ciò che scivola, di trasformare il quotidiano in significato,
di offrire una voce a tutti i momenti della vita, anche quelli più confusi e
ambigui.
Nei miei testi cerco di dare spazio a tutte le storie,
emozioni e pensieri che sfuggono alle narrazioni lineari, ma che custodiscono
il senso più profondo dell’esistenza.
Per me la poesia è un atto quotidiano. È la possibilità di
rallentare lo sguardo dentro una realtà che ci costringe per sua natura alla
superficialità e alla velocità. La
poesia quindi per me non è evasione, ma un ritorno radicale al presente, un
modo per riconnettersi con ciò che accade intorno a sè. La poesia diventa così
un esercizio di resistenza e cura: resistenza contro l’omologazione del
pensiero, cura verso se stessi e gli altri tramite l’attenzione. Un atto di presenza che costringe a fermarsi,
ascoltare, nominare.
Scrivere significa aprire uno spazio di incontro. Non si
tratta soltanto di esprimere la mia voce, ma di generare risonanze nell’altro:
chi legge, a sua volta, porta le proprie esperienze e trasforma il testo in
qualcosa di vivo e condiviso.
Un elemento centrale del mio lavoro è anche la dimensione
bilingue. La traduzione non è mai solo trasposizione linguistica, ma un
esercizio di attraversamento: permette di scorgere sfumature nuove, di
scivolare tra due identità linguistiche e culturali, di mettere in dialogo
mondi diversi. Scrivere in due lingue significa moltiplicare gli orizzonti, e
al tempo stesso ritrovare una radice comune nell’umano che ci unisce.
Scrivere poesie è per me un atto di creazione e rivelazione
nello stesso tempo. Ogni parola scelta, ogni immagine evocata, cerca di
costruire un ponte tra l’anima e il pensiero, un legame che trascende il tempo
e lo spazio
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