mercoledì 1 ottobre 2025

Faccio cose vedo gente di Zeno Maria Pareli Seconda tappa del blog tour

 


1.    Il rebus irrisolto dell’etica

 

Per raccontare e dipanare la matassa del rapporto tra lobbying ed etica, bisogna scomodare Dio e la barzelletta che si racconta su nostro Signore e i lobbisti.

Un lobbista riesce a organizzare un incontro con Dio. Risultato memorabile. Tronfio e smargiasso, si prepara per il meeting curando tutti i dettagli.

Al cospetto dell’Altissimo, con riverenza, esordisce: “Nostro Signore, so che hai pochissimo tempo e che sei super-impegnato. Voglio solo rivolgerti sommessamente tre domande”.

“Va bene. Dimmi pure figliolo…”

“Ma noi lobbisti saremo mai accettati dalla classe politica?”

“Sì, ma non durante la tua carriera.”

‘Fiuuuu, la prima è andata’ pensa il lobbista.

“Ma noi lobbisti saremo mai apprezzati dai media?” prosegue.

“Certamente” risponde Dio, “ma non durante la tua carriera.”

“E ora la terza e ultima” conclude l’uomo. “L’attività lobbistica sarà mai considerata una professione etica?”

Dio riflette qualche secondo e poi fa lapidario: “Sì, ma non durante la mia carriera”».

 

Ecco la storiella rappresenta bene le difficoltà di dipanare luoghi comuni e cliché sul modello comportamentale dei lobbisti; si arriva a sostenere apoditticamente che questa professione sia una professione a-etica e a-morale per definizione.


In realtà, non è così. Come gli avvocati, i notai, i commercialisti, gli ingegneri, gli architetti, ci sono professionisti seri e altri meno. Chi rispetta le regole, non solo del codice penale, ma di codici di condotta e del buon senso comune. E chi, impenitente, viola ogni legge e norme. Certo, chi ha a che fare quotidianamente con scelte politiche e pubbliche, con impatto su business e risorse finanziarie, deve essere molto più attento e scrupoloso del consueto. Deve quotidianamente confrontarsi e lavorare in team aiuta nel gestire situazione complesse nonché spesso delicate.


La killer app sono i “contenuti”: il lobbista che propone soluzioni e risposte sulla base di contenuti (e non maneggia solo con l’agenda e le “amicizie sottobracciste”) è sulla buona strada e non rischia di incappare in traffici di influenze illecite e quant’altro.

 

Per il resto, ci vorrà tempo e …magari una legge sul lobbying.

 

Le sarte della Villarey di Elena Pigozzi edito Mondadori - Seconda tappa del blog tour

 Le sarte della Villarey di Elena Pigozzi edito Mondadori.




Seconda tappa:

Un altro degli elementi fondamentali di questo racconto è la voce delle donne, vere protagoniste sia per coraggio, sia per capacità di sfruttare la loro “invisibilità” per farne la carta vincente del loro piano di fuga. Quasi un modo di affermare la loro forza a partire dal loro ruolo sociale. 

Infine, la resistenza vera delle Anconetane avviene nel più profondo “antimilitarismo”: non imbracciano fucili, ma ago e filo e realizzano un piano di fuga efficacissimo.

Piano che riesce grazie alla loro capacità di fare “rete” di unirsi: le donne di un intero quartiere di Ancona, il Pantano, prendono parte all’elaborazione di una fuga, strutturandone le fasi con grande abilità. È la capacità delle donne di realizzare una potentissima “sorellanza” che si rivelerà vincente.


lunedì 29 settembre 2025

Pomeriggi di amore sospeso di Stefania Lucchetti edito Albatros Seconda tappa del blog tour

 



Pomeriggi di amore sospeso

La creatività

La creatività è un’energia trascendente che connette il mondo interiore con quello esteriore. Ne ho scritto nella mia poesia Arte (inclusa nella mia precedente silloge Macchie di caffè sui miei libri (Albatros, 2024). Capace di abbattere ogni barriera e di tradurre le emozioni e i pensieri in forme tangibili e condivisibili, l’arte nel mio mondo non è solo un’espressione estetica, ma come un linguaggio universale e spirituale, una forza trasformativa e alchemica che dà voce a ciò che può essere difficile da esprimere in linguaggio mondano, e collega l’individuo all’universale.

L’arte prende il linguaggio dell’anima, spesso incomprensibile e ineffabile, e lo rende visibile e percepibile agli altri. Per questo è un mezzo di comunicazione tra due mondi, tra il visibile e l’invisibile, un luogo in cui l’anima si espande e si rivela portando alla luce storie altrimenti invisibili.

In “Pomeriggi di amore sospeso” racconto una storia d’amore. L’amore, in tutte le sue forme, è una forza universale e creativa, capace di plasmare e alimentare l’esistenza.  È il motore che spinge l’essere umano a crescere, esplorare, immaginare e creare. Che si tratti di amore per un’altra persona, per i figli, per la vita o per l’arte, questa forza alchemica ci permette di superare i nostri limiti e raggiungere nuove vette di espressione e realizzazione. L’amore, in ogni sua manifestazione, è il filo invisibile che intreccia le esperienze della nostra vita, dando loro significato e profondità e spesso è il motore che consente di raggiungere nuovi livelli di espressione e realizzazione.

giovedì 25 settembre 2025

Faccio cose vedo gente Zeno Maria Pareli edito Paesi Edizioni 2 Tappa del blog tour

 

Faccio cose vedo gente Zeno Maria Pareli edito Paesi Edizioni 2 Tappa del blog tour


Faccio cose vedo gente Zeno Maria Pareli edito Paesi Edizioni


 

Il rebus irrisolto dell’etica

Per raccontare e dipanare la matassa del rapporto tra lobbying ed etica, bisogna scomodare Dio e la barzelletta che si racconta su nostro Signore e i lobbisti.

Un lobbista riesce a organizzare un incontro con Dio. Risultato memorabile. Tronfio e smargiasso, si prepara per il meeting curando tutti i dettagli.

Al cospetto dell’Altissimo, con riverenza, esordisce: “Nostro Signore, so che hai pochissimo tempo e che sei super-impegnato. Voglio solo rivolgerti sommessamente tre domande”.

“Va bene. Dimmi pure figliolo…”

“Ma noi lobbisti saremo mai accettati dalla classe politica?”

“Sì, ma non durante la tua carriera.”

‘Fiuuuu, la prima è andata’ pensa il lobbista.

“Ma noi lobbisti saremo mai apprezzati dai media?” prosegue.

“Certamente” risponde Dio, “ma non durante la tua carriera.”

“E ora la terza e ultima” conclude l’uomo. “L’attività lobbistica sarà mai considerata una professione etica?”

Dio riflette qualche secondo e poi fa lapidario: “Sì, ma non durante la mia carriera”».

 

Ecco la storiella rappresenta bene le difficoltà di dipanare luoghi comuni e cliché sul modello comportamentale dei lobbisti; si arriva a sostenere apoditticamente che questa professione sia una professione a-etica e a-morale per definizione.


In realtà, non è così. Come gli avvocati, i notai, i commercialisti, gli ingegneri, gli architetti, ci sono professionisti seri e altri meno. Chi rispetta le regole, non solo del codice penale, ma di codici di condotta e del buon senso comune. E chi, impenitente, viola ogni legge e norme. Certo, chi ha a che fare quotidianamente con scelte politiche e pubbliche, con impatto su business e risorse finanziarie, deve essere molto più attento e scrupoloso del consueto. Deve quotidianamente confrontarsi e lavorare in team aiuta nel gestire situazione complesse nonché spesso delicate.


La killer app sono i “contenuti”: il lobbista che propone soluzioni e risposte sulla base di contenuti (e non maneggia solo con l’agenda e le “amicizie sottobracciste”) è sulla buona strada e non rischia di incappare in traffici di influenze illecite e quant’altro.

Per il resto, ci vorrà tempo e …magari una legge sul lobbying.

Le sarte della Villarey di Elena Pigozzi edito Mondadori Blog Tour 1 tappa

 Le sarte della Villarey di Elena Pigozzi edito Mondadori



Le sarte della Villarey racconta il coraggio delle donne durante la guerra, che riescono a escogitare un piano tanto coraggioso quanto folle per salvare dalla deportazione nazista oltre 400 soldati italiani. È il racconto di chi, trovandosi in una situazione drammatica e a rischio della propria vita, non si volta indietro, ma afferra ago e filo e con il gesto che conosce a memoria salva delle vite.

Il romanzo è anche il racconto di un momento cruciale della nostra storia recente, il ’43, visto dal fronte interno, cioè da coloro che hanno vissuto la guerra stando a casa e affrontando il razionamento alimentare, il coprifuoco, l’occupazione nazista e hanno continuato a lavorare per il paese.

martedì 23 settembre 2025

Pomeriggi di Amore Sospeso di Stefania Lucchetti edito Albatros Prima tappa del blog tour

 

Pomeriggi di Amore Sospeso di Stefania Lucchetti edito Albatros 


La poesia è sensualità
In “Pomeriggi di amore sospeso” uso molto la sensualità come strumento di connessione, di comunicazione.  Penso che a volte durante il percorso della nostra vita smarriamo il significato profondo della sensualità. Non sappiamo più davvero cosa sia, ne siamo attratti ma fatichiamo a darle un senso e un significato.
La sensualità è l’arte del non detto.
È la grazia che si cela nei gesti non spiegati, nel linguaggio del corpo e dell’anima che sfugge alla logica lineare della spiegazione e del controllo della mente. È un modo di onorare la nostra umanità: custodi di movimento, presenza, emozione e pensiero, senza il bisogno di definire tutto, senza l’urgenza di spiegare ogni dettaglio.
La sensualità è l’attenzione a un momento, il respiro tra le parole, la pausa che racconta più di mille frasi, un gesto che non necessità di spiegazione.
La poesia è una purissima forma di sensualità in parola.
La poesia vive nel suggerito, nella metafora. E’ soglia, è invito. Non offre risposte: apre possibilità. Indica direzioni che non pretendono di essere uniche, ma che accendono pensieri, riflessioni, domande. Offre una lente da cui osservare gli angoli bui, un modo nuovo di stare nel mondo e nelle proprie circostanze, qualsiasi esse siano.
Lasciarsi andare alla sensualità di un pensiero significa accogliere la vastità del possibile.
E in questo, la creatività è sorella della sensualità: è la capacità di rispondere alla vita aprendo lo sguardo, cercando strade diverse, vedendo le potenzialità di una situazione anziché i suoi limiti.


venerdì 19 settembre 2025

"Diario dalla terra di mezzo" di Girolamo Gangemi edito Dialoghi Edizioni.

"Diario dalla terra di mezzo" di Girolamo Gangemi edito Dialoghi Edizioni.



La poesia, quando è vera, non ha bisogno di orpelli o di una lussureggiante retorica per colpire dritto al cuore. Lo dimostra in modo esemplare la nuova raccolta di Girolamo Gangemi, "Diario dalla terra di mezzo", edita da Dialoghi Edizioni. L'opera si presenta come un profondo e intimo diario poetico, un viaggio interiore che si svolge in un luogo immaginario e al tempo stesso universale: una "terra di mezzo" sospesa tra polarità opposte.

​Come sottolineato nell'accurata prefazione a cura del professor Franco Mileto, questo spazio letterario è un ponte che collega il cielo e la terra, il sublime e il gretto, la fede e la ragione. È la dimora dell'anima, dove il poeta si confronta con il divario tra ciò che è e ciò che aspira a essere. Gangemi, forte di un percorso poetico già costellato di successi, tra cui il "Premio Pomezia" e il "Memorial Guerin Cittadino", sceglie una scrittura che è l'antitesi dell'eccesso lirico. Il suo stile è asciutto, essenziale, a tratti quasi pragmatico, e rifiuta qualsiasi forma di esibizione verbale.
​Gangemi osserva il mondo con occhi disincantati e piedi saldamente piantati nel "qui e ora". La sua poesia non è un'evasione dalla realtà, ma un modo per affrontarla. C'è un'ironia sottile che permea i versi, un velo di sagacia che alleggerisce il peso delle riflessioni esistenziali, rendendole più accessibili e immediate. L'autore non si limita a raccontare, ma cerca un coinvolgimento emotivo con il lettore. Lo fa recuperando il significato originario della parola, intesa non solo come suono o immagine, ma come strumento etico ed estetico. In un'epoca segnata dall'individualismo, la sua poesia riscopre un senso "corale del vivere" che oggi sembra perduto, invitandoci a ritrovare il legame con gli altri e con il mondo che ci circonda.
​All'interno di questa raccolta, alcune poesie risuonano in modo particolare. "Vedersi dentro" e "Alibi" sono un potente invito all'introspezione e a un'onestà radicale con se stessi. "Anni verdi" è una toccante rievocazione della giovinezza, un affresco di memorie che si svelano con una delicatezza sorprendente. La poesia dedicata a "La ragazza dall'orecchino di perla di Vermeer" dimostra la capacità del poeta di dialogare con l'arte, cogliendo l'anima di un capolavoro per farne uno specchio di emozioni e riflessioni personali.
​Ma è nella poesia dedicata a "A mio figlio Giovanni" che l'opera raggiunge uno dei suoi apici emotivi. In ogni verso, in ogni singola parola, si percepisce l'amore profondo di un padre, un sentimento che si confronta con le preoccupazioni per il futuro e i cambiamenti della vita. È una poesia che tocca corde universali, portando il lettore a una consapevolezza essenziale: la vita è una sola e va vissuta in ogni istante, con pienezza e coraggio, nel suo "hic et nunc".
​In conclusione, "Diario dalla terra di mezzo" non è solo una raccolta di poesie, ma un percorso di crescita e di consapevolezza. È un'opera schietta, sincera e priva di fronzoli, che si offre al lettore come una guida per riflettere sulle complessità dell'esistenza e trovare un proprio equilibrio. La voce di Girolamo Gangemi è limpida e diretta, una voce che ci ricorda il valore intrinseco della parola e la bellezza di vivere la vita, in tutte le sue sfumature. È un'opera che merita di essere letta e meditata, perché offre spunti preziosi e la rara sensazione di essere tornati a casa.

Faccio cose vedo gente Zeno Maria Pareli edito Paesi Edizioni 1 Tappa del blog tour


Faccio cose vedo gente Zeno Maria Pareli edito Paesi Edizioni




sinossi

«Ho voglia di uscire stasera, di svagarmi un po’… passeggiate, sigarette, solito bar, whiskey torbato e mezz’oretta di jazz al club che frequento da anni. Questa sera il maestro WhiteLight alla chitarra sta proponendo un disco di Miles Davis in chiave blues. Nonostante tutto stia filando liscio, al terzo bicchiere di Ardbeg il lavoro riaffiora prepotente nelle sinapsi cerebrali e porta a galla ricordi, emozioni, odori, déjà vu, situazioni passate che mi distraggono e mi cambiano l’umore. È sempre così nel mio dannato settore. Di cosa mi occupo? Sono un avvocato per organizzazioni private, ma non frequento mai i tribunali: il mio ambiente è la politica. Perché? Sono un lobbista. In cosa consiste il mio compito? Faccio cose, vedo gente…»



È un lobbista. Classe 1957. Felicemente divorziato, etero. Vive sul mare. Astemio, tranne che di belle donne. E questo è il suo primo e ultimo romanzo.

domenica 7 settembre 2025

Maleducati. Educazione, disinformazione e democrazia in Italia di Mario Caligiuri Editore Luiss University Press.

MALEDUCATI 

Educazione, disinformazione e democrazia in Italia. 

Mario Caligiuri 

 Luiss University Press.


Recensione a cura del Prof. Franco Mileto


Il saggio di Mario Caligiuri, "Maleducati. Educazione, disinformazione e democrazia in Italia.", edito da Luiss University Press, si configura non solo come una lucida e impietosa analisi dello stato del sistema formativo italiano, ma anche come un manifesto politico che intende riportare l’educazione al centro del dibattito nazionale, quale perno ineludibile per la sopravvivenza stessa della democrazia. L'opera, caratterizzata da un approccio interdisciplinare che spazia dalla pedagogia alla sociologia, dalla storia alla teoria della comunicazione, rappresenta una diagnosi severa e un accorato j'accuse contro un trentennio di riforme miopi, deriva culturale e disimpegno intellettuale. 

Caligiuri costruisce la sua argomentazione seguendo una logica a cerchi concentrici, partendo dal quadro globale per poi stringere il focus sulla specificità italiana e, infine, sulla crisi interna alla stessa disciplina pedagogica. I capitoli iniziali definiscono la tesi di fondo: l'esistenza di un nesso costitutivo e inscindibile tra la salute del sistema educativo e la qualità della democrazia. L'autore riprende il classico dibattito tra Dewey e Lippmann, concludendo amaramente che, nella società contemporanea dominata dalla globalizzazione e dagli algoritmi, la visione realistica di un'opinione pubblica manipolabile ("gregge da guidare") appare tragicamente più aderente alla realtà. In questo scenario, la disinformazione emerge non come un fenomeno collaterale, ma come la principale emergenza educativa e democratica, un campo di battaglia per il controllo delle menti. Il cuore del saggio è dedicato alla disamina della storia recente d'Italia.

Caligiuri traccia una "breve storia della disinformazione politica in Italia", dimostrando come la manipolazione mediatica e la costruzione di narrazioni distorte siano una costante, dall'Unità d'Italia alla Seconda Repubblica. Questa tendenza si è esasperata con l'avvento di un sistema politico-mediatico che, dagli anni '90, ha privilegiato la propaganda e la semplificazione binaria (amico/nemico) a scapito della complessità. Parallelamente, l'autore analizza il "ventennio di riforme scolastiche" del XXI secolo come un susseguirsi caotico di interventi privi di visione, spesso contraddittori e sistematicamente ignari dei "tempi insostenibili delle riforme", ovvero della natura intrinsecamente lenta dei processi educativi. I risultati di questa politica, come evidenziato nel capitolo "Madamina, il catalogo è questo", sono disastrosi: analfabetismo funzionale, divari territoriali abissali e un generale abbassamento delle competenze critiche. 

La parte più provocatoria e scientificamente rilevante del saggio è la critica rivolta alla stessa comunità accademica dei pedagogisti. Caligiuri denuncia l'adozione di una "antilingua", un gergo accademico astruso, autoreferenziale e lontano dalla realtà concreta della scuola, che genera una "antipedagogia". Si interroga provocatoriamente sulla scientificità della disciplina, suggerendo che essa sia piuttosto un campo di studi interdisciplinare, un'"inferma scienza" che ha smarrito la sua responsabilità sociale. Il capitolo sul "non dibattito pedagogico italiano" è un atto d'accusa durissimo: l'accademia pedagogica viene descritta come un mondo ripiegato su se stesso, concentrato su liturgie convegnistiche e dinamiche concorsuali, incapace di incidere sul dibattito pubblico e di offrire soluzioni concrete alle sfide epocali. All'interno di questa struttura di tono diagnostico, emergono alcune tesi di forte impatto speculativo. Una di queste riguarda la diabolica spirale nella quale sono intrecciate crisi educativa e crisi democratica. 
L’assunto è che un'istruzione di bassa qualità produce cittadini incapaci di pensiero critico e, di conseguenza, facilmente manipolabili. Questo indebolisce la democrazia, riducendola a una mera procedura elettorale e favorendo l'ascesa di élite inadeguate. Tali élite, a loro volta, perpetuano il ciclo promuovendo politiche educative inefficaci che privilegiano il consenso a breve termine sull'investimento a lungo periodo.

Tutto ciò inevitabilmente conduce alla Società della Disinformazione. Caligiuri identifica la combinazione tra un eccesso di informazioni irrilevanti e un basso livello di istruzione sostanziale come il cortocircuito cognitivo che definisce la nostra epoca. L'educazione, in questo contesto, non deve più limitarsi a trasmettere nozioni, ma deve fornire gli strumenti per "sapere cosa ignorare", per selezionare le informazioni rilevanti e sviluppare un pensiero critico come principale difesa contro la manipolazione. Altrimenti ci si dovrà consegnare al facilismo amorale e alla falsa uguaglianza. L'autore critica l'eredità di un certo pensiero post-sessantottino che, nel tentativo di democratizzare la scuola, ha generato un "facilismo amorale", abbassando le aspettative e confondendo il diritto allo studio con il diritto al titolo di studio. Questo, anziché ridurre le disuguaglianze, le ha aggravate, penalizzando soprattutto gli studenti provenienti da contesti svantaggiati, per i quali una scuola esigente e basata sul merito rappresenterebbe l'unica vera leva di mobilità sociale. Nonostante l’impietoso rigore della diagnosi, il saggio non si esaurisce nella critica. 

Nelle conclusioni e nel capitolo dedicato al suo personale contributo, Caligiuri avanza una proposta organica, una "pedagogia per il XXI secolo". Questa deve essere una "pedagogia della comunicazione", consapevole della mutazione antropologica dello "studente a più dimensioni" (fisico, virtuale, potenziato) e pronta ad affrontare le sfide dell'intelligenza artificiale. L'autore propone inoltre una "pedagogia meridiana", un modello educativo per il Sud Italia che ponga il merito come antidoto al clientelismo e come strumento per colmare i divari territoriali. Il punto d'arrivo è l'invocazione di una "pedagogia della nazione": un progetto culturale e politico che faccia dell'educazione la priorità strategica per ricostruire il tessuto civile e democratico del Paese. 

Il saggio evidenzia indiscutibili punti di forza. Intanto il suo valore principale risiede nella capacità di connettere ambiti solitamente trattati separatamente, offrendo una visione d'insieme potente e coerente. Poi, il lavoro si distingue per il coraggio di una critica radicale rivolta non solo alla politica, ma anche al mondo accademico (ovvero al mondo dell’autore), mettendone a nudo le debolezze e l'irrilevanza. Infine, la rigorosa, puntuale ricostruzione storica della disinformazione in Italia fornisce profondità e solidità all'analisi del presente. Qualcuno ha mosso qualche riserva per un larvato "declinismo", che rischierebbe di sottovalutare le sacche di eccellenza e innovazione che pure esistono nel sistema educativo italiano, ma sarebbe bastato pensare alla vicenda umana e professionale di Mario Caligiuri, da sempre impavidamente e spericolatamente schierato sulla trincea dell’innovazione e della sperimentazione, per fugare ogni ipotesi di rassegnato fatalismo. Piuttosto, è da annotare che per ora la proposta di una "pedagogia della nazione" rimane più un'intuizione e una direzione di marcia che un progetto compiutamente definito, lasciando aperti numerosi interrogativi sulle sue concrete modalità di attuazione. Ciò non toglie che questo sia un libro necessario, che intercetta e articola con chiarezza le ansie di un'epoca segnata dalla crisi delle istituzioni e dalla sfiducia nella conoscenza, ma soprattutto apre una pista che richiederà un auspicabile e poderoso lavoro collettivo.
 
In conclusione, "Maleducati" di Mario Caligiuri è un saggio destinato a diventare un punto di riferimento nel dibattito pedagogico italiano. 
È un'opera che scuote, provoca e costringe a pensare, il cui merito più grande è quello di elevare la questione educativa dal rango di problema settoriale a questione politica per eccellenza, indicandola con forza come il terreno decisivo su cui si giocherà il futuro della democrazia italiana. Un testo imprescindibile, quindi, per educatori, accademici, decisori politici e per ogni cittadino che abbia a cuore le sorti del Paese.


Prof. Franco Mileto

martedì 3 giugno 2025

Blog Tour di Piero Salabè "Mortacci mia" edito La nave di Teseo. 2 Tappa

  

Seconda tappa


–  Il rapporto fra il fratello e la sorella, Fabio e Aič, che cercano il padre scomparso, come lo descriveresti?

Nel romanzo, nel capitolo 18., si dice che sono gemelli “siamesi con due teste e un solo cuore”. È una metafora per indicare la complementarità. Sono, infatti, le uniche due persone nella famiglia a credere che il padre sia ancora vivo, mentre gli altri lo danno per morto, e nella loro ricerca hanno bisogno l’uno dell’altro. Forse più  Fabio di Aič, nonostante lei sia più piccola. Fabio ha paura di dormire da solo nel buio, vuole che nel letto accanto ci sia Aič, che è ben più coraggiosa di lui. Sarà sempre la sorella la prima ad avventurarsi nei cunicoli, nei passaggi più infidi che conducono verso il padre: è lei la vera forza propulsiva della ricerca. Una forza irrazionale, passionale, non mediata da pensieri e calcoli; è più altruista,  mossa da “amore puro” verso il padre, anche se il fratello critica il suo attaccamento che definisce morboso. Fabio, invece, è descritto come più egoista, persegue la ricerca per motivazioni proprie, fa “esperimenti dell’anima”, e la sorella intuisce che la sua fedeltà al padre non è assoluta come la sua. Nel testo affiora in certe scene oniriche anche un’attrazione di Fabio verso la sorella: “fra cento sorelle quest’una / che mi mangia il cuore e io il suo”, cita lo scrittore austriaco Robert Musil, che aveva sviluppato un concetto utopico di “Geschwisterliebe”, fusione fra fratello e sorella. È certo che Fabio e Aič si potrebbero interpretare come le due parti di un unico personaggio, il cui il fratello rappresenta il maschile (animus) e la sorella il femminile (anima), ma non credo che con queste categorie colgano appieno il rapporto dei due, caratterizzato da dolcezza, affetto, ma anche da una latente voglia di sopraffazione da parte del fratello.  

- Il Frocio di Frosinone, il Libico, il Libanese: come ti sono venuti in mente questi personaggi?

“Il Frocio” è un personaggio che conosce a menadito i collegamenti segreti e i bassifondi di Roma. Avevo bisogno di una figura che aiutasse Fabio e Aič, a trovare un passaggio per l’ospedale chiuso. L’ho battezzato, “Il Frocio di Frosinone” perché mi piaceva l’idea di una particolare marginalità, qualcuno che conoscesse la città venendo da fuori. “Il Frocio” si fa chiamare lui stesso così, il nome non è, dunque, spregiativo, tutto il contrario: è una figura profonda, che dopo una crisi ha fatto un radicale cambio di vita. Confesso che mi piace giocare con i nomi, così anche con quello del Libico, Abu Ridou, un biologo fuggito via mare dalla Libia in guerra, che all’Università di Roma trova solo  un impiego in nero, nella stanza delle fotocopie. Abu Ridou, letto di fila, in spagnolo significa “annoiato” (“aburrido”). Il Libico è annoiato dalla vita, una noia “esistenziale”, perché approdato in Italia con la speranza di una vita migliore, si vede relegato, malgrado sia una persona di grande cultura.  Sono destini comuni dei rifugiati, spesso vittima di pregiudizi. Come nel caso del Frocio, volevo dare dignità, a una figura della marginalità. Il Libico, con il suo pessimismo radicale si oppone a una certa tendenza edificante del romanzo: “Mortacci mia” celebra la ricerca di un senso umano, ma il Libico ci ricorda che questo senso forse non esiste e non è null’altro che una nostra costruzione consolatoria. Infine, il Libanese: da tecnico del suono può aiutare Fabio a interpretare meglio i rumori dietro alle pareti del Policlinico abbandonato. Questa figura, in realtà un ebreo ungherese di nome Gluckstern, veniva chiamato il Libanese perché  da giovane vagheggiava di un luogo, in Libano, dove pensava si trovasse “la folgore bianca dell’Ognidove.” È un mistico che crede nell’esistenza di una frequenza in cui tutti i suoni, del presente e del passato, convergono e dunque nulla, della vita, vada perduto. 

giovedì 22 maggio 2025

Blog Tour di Piero Salabè "Mortacci mia" edito La nave di Teseo. 1 Tappa

Un conturbante viaggio agli inferi, in una Roma surreale, alla ricerca di un padre scomparso.

Pintor è un medico che ha lavorato tutta la vita al Policlinico. È un uomo dedito alla ricerca, innamorato della scienza. Un giorno, nella maniera più discreta possibile – abbandonando i suoi occhiali sul comodino – toglie il disturbo scomparendo nel nulla e lasciando i figli senza un perché. Mentre il resto della famiglia lo dà per defunto, Fabio e Lara non credono alla morte del genitore e decidono di cercarlo. Alcuni diari del padre indirizzano i due figli verso l’ospedale, nel frattempo chiuso e abbandonato. E se Pintor fosse proprio in quel Policlinico tanto amato, in qualche ala dimenticata, a portare avanti i suoi esperimenti? Fabio e Lara decidono così di avventurarsi tra laboratori sotterranei e padiglioni decaduti, in una città dei miraggi popolata di voci e visioni, dove i confini fra realtà, ricordi e immaginazione si fanno via via più labili.

Piero Salabè firma un romanzo toccante e profondamente umano, popolato da personaggi straordinari. Una storia poetica e di debordante inventiva che è un corpo a corpo serrato con la memoria, con il desiderio di mantenere in vita, a ogni costo e con ogni mezzo, chi non c’è più.


1) Prima tappa, risposta a due domande.


– Il romanzo “Mortacci mia”, è ambientato a Roma, "oscuro ombelico del mondo", città in cui il narratore è nato e da cui non riesce a liberarsi. Come mai? 

“Mortacci mia” è un romanzo sull’impossibilità di scampare alla propria origine, a prescindere da dove si è nati: che sia una grande città, un borgo di provincia o un paesello sperduto. Nel romanzo il rapporto con l’origine appare ambiguo: nel racconto il narratore Fabio, ad esempio, va in cerca del padre scomparso nell’ospedale abbandonato, ma non è chiaro se lo fa per riabbracciarlo e per liberarsi dalla sua ombra ingombrante. Nasciamo nel seno di una famiglia, restandone legati finché giunge il momento del distacco. Ed è quando ci si rende conto quanto difficile, forse impossibile sia sciogliere quel legame profondo.  Fabio va a vivere all’estero, lasciando dietro a sé Roma, una città decadente, che non sembra offrirgli un futuro. Eppure, continua a tornarci, mosso da un’attrazione fatale. C’è una frase che lo ossessiona: “A Roma si viene solo a morire”.  Ma di che morte si tratta, si chiede il lettore: una morte reale o forse una morte simbolica per potere rinascere, libero dal peso del passato irrisolto? È questo il tema del libro. Nel romanzo di formazione si narra il percorso di un eroe dall’infanzia e adolescenza all’età adulta, in “Mortacci mia”, invece, sembra prevalere la regressione, il non riuscire a diventare pienamente adulto, il restare bambino. A un certo punto il narratore dice:  “La storia che segue si svolge nel tempo e ha un inizio e una fine, ma l’adulto che la racconta a tratti rimpicciolisce fino a tornare ragazzo, persino bambino.“ Il romanzo descrive la lotta fra sentimenti contrastanti, da un lato la voglia di liberarsi dall’ombra del padre e della città, dall’altro, invece, l’indulgere nostalgico.  
 
 – La nostalgia, che tipo di sentimento è?

La nostalgia, come dice la radice greca della parola, è “il dolore del ritorno”: si soffre lo stare via da casa.” Credo che tutti conoscano questo sentimento, che riguarda non solo  “la casa”, ma il passato in generale. Spesso ci si abbandona alla nostalgia, voluttuosamente, preferendo di vivere in un’epoca trascorsa che si ricorda come felice, idealizzandola, anziché misurarsi con il presente. E può capitare che la nostalgia divenga morbosa, perché impedisce di vivere il presente. Il narratore di “Mortacci mia”, è “malato di nostalgia”, come rivela nella prima pagina del romanzo: lui, che vive all’estero, continua a tornare nella sua città. “La città era sempre là, immutata. Ancora una volta, l’aveva vinto, l’aveva fatto ritornare inerme, bambino.” Il ritorno corrisponde a una sorta di regressione, qualcosa per cui il narratore prova vergogna. Spera allora che  raccontando la sua storia, possa liberarsi finalmente dal sortilegio della nostalgia. Ecco che inizia a rievocare il suo passato nella città, nella casa, nella famiglia. Il romanzo “Mortacci mia” descrive, dunque, una lotta contro la nostalgia: il bilancio è incerto, non è chiaro come finisca questa lotta che forse non produce che un ulteriore avvinghiamento nella nostalgia. Una soluzione  ci sarebbe, forse, come emerge in una scena del romanzo, quando il narratore Fabio partecipa con la sorella Aič a un gioco, una strana mosca cieca: “Vince chi riesce a uscire per primo dalla casa, a togliersi per sempre la benda, a non volere mai più tornare”. 

martedì 29 aprile 2025

LAUDA e FERRARI Campioni del mondo di Luca Dal Monte edito Giunti. Terza Tappa del Blog Tour

 

LAUDA e FERRARI Campioni del mondo di Luca Dal Monte edito Giunti.



Terza tappa:

C’è un risvolto personale nella stagione 1975 che racconto nel libro. Quella fu infatti la prima stagione di Formula 1 che seguii in tutta la mia vita - gran premi alla TV, lettura di riviste specializzate, prima gara vista dal vivo (GP d’Italia a Monza con vittoria di gara e mondiale da parte della Ferrari, una giornata difficile da dimenticare anche a distanza di 50 anni). E’ con questa stagione che nasce il mio interesse per la Formula 1, il mio affetto per la Ferrari, la mia ammirazione per Enzo Ferrari, Luca di Montezemolo e Niki Lauda. Questo è in definitiva anche un libro che ho scritto per me e per quella generazione di appassionati che hanno iniziato a seguire la Formula 1 in quella stagione, con quella squadra Ferrari, con quei piloti e con quella bellissima monoposto - perché oltre a essere superiore alle altre da un punto di vista tecnico, la 312 T è una delle più belle monoposto di Formula 1 di tutti i tempi: rossa con la grande presa d’aria sopra alla testa del pilota bianca con le tre strisce della bandiera italiana. All’epoca la copertura che la televisione dedicava alla Formula 1 era molto limitata rispetto a oggi. Ma anche per questa ragione, la fantasia galoppava. Esattamente 25 anni dopo pubblicavo il mio primo libro, che equivale poi a 25 anni fa. Insomma, ci sono tutta una serie di ragioni che rendono questo libro speciale per il suo autore. 


LAUDA & FERRARI Campioni del mondo di Luca Dal Monte edito Giunti 2 Tappa del Blog Tour

LAUDA & FERRARI Campioni del mondo di Luca Dal Monte edito Giunti.









Seconda tappa

La stagione 1975 è una delle più avvincenti nei 75 anni da quando esiste la Formula 1 (1950). A posteriori oggi la si pensa dominata da Niki Lauda e dalla sua Ferrari 312 T. In realtà, nonostante le 5 vittorie di Lauda e quella del compagno di squadra Clay Regazzoni nel Gran Premio d’Italia a Monza, fu una stagione con molti protagonisti, diversi vincitori di gran premio e vari pretendenti al titolo. Il dominio di Lauda si delinea tra la fine della primavera e la prima parte di estate, quando Niki vince quattro gare su cinque e fugge in classifica. Ma nei gran premi disputati tra gennaio e marzo nell’estate australe (Argentina, Brasile e Sudafrica), Niki e la Ferrari sono in difficoltà e i candidati al titolo sono altri: il campione in carica, il brasiliano Emerson Fittipaldi (all’epoca il più giovane campione del mondo nella storia della Formula 1); e l’argentino Carlos Reutemann. Nonostante le quattro vittorie nella prima parte dell’estate, Lauda rimane comunque a portata di mano dei suoi avversari sino a due gare dalla fine della stagione, quando si laurea campione del mondo a Monza in un’apoteosi di tifo ferrarista. Ma al di là del titolo di Lauda, la stagione 1975 vive altri momenti di grande pathos, come la prima vittoria dell’inglese James Hunt al volante di una macchina di un piccolo team di proprietà di un giovane Lord inglese (Hesketh); la prima vittoria di un pilota italiano da nove anni a quella parte (Vittorio Brambilla nel Gran Premio d’Austria); i primi punti mondiali conquistati da una donna in Formula 1 (Lella Lombardi, GP di Spagna). La stagione 1975 peraltro non è priva di drammi, come era comune all’epoca: il pilota americano Mark Donohue muore nel corso delle prove del GP d’Austria; due spettatori perdono la vita nel corso del GP di Spagna, un GP di Spagna in cui la Guardia Civil, agli ordini del dittatore Francisco Franco, minaccia di confiscare le monoposto e di arrestare piloti e dirigenti, tra cui Luca di Montezemolo, all’epoca direttore sportivo della Ferrari.

giovedì 17 aprile 2025

LAUDA & FERRARI Campioni del mondo di Luca Dal Monte edito Giunti Prima Tappa del Blog Tour



LAUDA & FERRARI Campioni del mondo di Luca Dal Monte edito Giunti 




Prima tappa:


La stagione 1975 segna la nascita dell’era Lauda in Formula 1. Quell’anno il pilota austriaco della Ferrari vince infatti il primo di tre titoli mondiali (1975, 1977, 1984). Per la Ferrari inizia invece quest’anno un ciclo vincente che sopravviverà anche alla permanenza di Lauda a Maranello (Niki se ne andrà a fine 1977 dopo aver vinto un secondo titolo mondiale. Il ciclo vincente della Ferrari vede la Scuderia di Maranello vincere 7 titoli mondiali in cinque anni: Piloti nel 1975 e 1977 con Lauda; 1979 con Jody Scheckter; Costruttori nel 1975, 1976, 1977 e 1979.) La stagione 1975 segna il ritorno al vertice della Ferrari dopo varie stagioni di appannamento. Enzo Ferrari compie una sorta di rivoluzione, assumendo due nuovi piloti (Niki Lauda e lo svizzero ticinese Clay Regazzoni), rimettendo sul ponte di comando a livello tecnico una sua vecchia conoscenza, vale a dire l’ing. Mauro Forghieri; e dando l’incarico di direttore sportivo (l’uomo che ha la responsabilità à della squadra in pista) a un giovane con pochissima esperienza specifica alle spalle, ma una laurea in giurisprudenza. Il suo nome è Luca di Montezemolo, che sarà poi presidente della Ferrari per 23 anni (dal 1991 al 2014). Per quanto Lauda arrivi a definire un’era della Formula 1 e sia ancora oggi considerato uno dei più grandi di tutti i tempi, nell’anno in cui vince il suo primo titolo - il 1975 raccontato nel libro - quasi nessuno lo ritiene il migliore pilota in circolazione ma, più semplicemente, quello al volante della macchina migliore, quella 312 T che in molti ancora oggi ritengono il capolavoro del suo progettista, Mauro Forghieri. Quell’anno lo stesso Lauda pare non avere alcun problema ad ammettere di non essere probabilmente il migliore pilota in attività. Pragmatico come sempre sarà nella sua vita e nella sua carriera, Niki lascia che l’ambiente alimenti dubbi sulle sue vere qualità e, nel frattempo, da grande professionista quale sarà sempre, vince 5 gran premi, conquista il titolo mondiale e riporta a Maranello un alloro che la Scuderia Ferrari non riusciva a fare suo da 11 anni, il digiuno più lungo nella vita di Enzo Ferrari, il mitico fondatore di quella che ancora oggi è considerata la squadra corse più famosa nella storia dell’automobilismo sportivo.

lunedì 14 aprile 2025

Il partigiano della breakdance. Dalla Russia ad Amici, dalle strade ai grandi palchi di Roman Froz edito Cairo Editore Blog Tour 2 Tappa

  Il partigiano della breakdance. Dalla Russia ad Amici, dalle strade ai grandi palchi di Roman Froz edito Cairo Editore. 



Seconda tappa: 14 aprile.

Mio nonno era una persona molto umile, nonostante in vita sia stato un eroe. Ma non un eroe solo per me, perchè era mia nonno, un eroe perchè a sedici anni si arruolo' volontario nell'Armata Rossa per combattere i nazisti. Avevo circa 24 anni quando mi resi conto di chi fosse davvero, eppure l'ho sempre avuto accanto da quando ero piccolo. Ma solo a quell'età con una certa maturità mi ero reso conto di chi fosse davvero. Da allora è stato lui a guidarmi come un faro nel buio, come un esempio da seguire, e come qualcuno cui diventare. Nonno Semion ha partecipato alla liberazione dell'Ungheria, Cecoslovacchia e infine alla presa di Vienna nel 1945, e anche io nel mio piccolo ho voluto fare qualcosa di grandioso per dirgli "guarda nonno, anche io ho una medaglia, anche io sono un campione". Bhe posso dire che l'ho fatto, e l'ho fatto prima che mi lasciasse. "Il partigiano della Breakdance" non è solo un racconto di danza, ma un viaggio profondo nei valori della vita e della famiglia. 

lunedì 7 aprile 2025

Il partigiano della breakdance. Dalla Russia ad Amici, dalle strade ai grandi palchi di Roman Froz edito Cairo Editore Blog Tour 1 Tappa

  Il partigiano della breakdance. Dalla Russia ad Amici, dalle strade ai grandi palchi di Roman Froz.

 



 Mi hanno sempre detto che non ce l'avrei fatta e che non sarei arrivato da nessuna parte; "E' passata di moda", "si ballava negli anni '80" mi dicevano. La breakdance non prometteva niente di buono, ma io mi ero ormai totalmente innamorato di questa danza. Da allora sono passati 25 anni, la breakdance oggi è alle oliompiadi, nei teatri, nelle accademia di danza, in tv e nella vita di tanti giovani sparsi in tutto il mondo. Con due campionati italiani e un europeo vinto alle spalle, ho realizzato il sogno della mia vita contro ogni pronostico. E' stato un percorso lungo e molto difficile, e quello che si vede è solo il risultato, un po' come essere in cima alla montagna osservata dalla folla che non vede invece il lato che hai scalato. Ho sempre voluto ispirare gli altri a fare qualcosa di grandioso e vivere per grandi scopi, per questo ho deciso di raccontato quanto mi ci è voluto a scalare quella montagna e a che prezzo. "Il partigiano della breakdance" è un libro che puo' dare uno sguardo diverso sul significato della parola "Educazione" e cosa sia davvero il sacrificio. Un libro che puo' accendere il fuoco che avete dentro. 

La libertà che tanto ho sognato, le regole che tanto avevo disprezzato, ora tutto era realtà. A 16 anni i miei genitori si trasferirono a Milano e mi hanno lasciato da solo per finire gli studi. Da solo nel pieno della mia adolescenza, nel pieno della mia avventura nella breakdance. Festini, alcolici, ragazze e tanto altro girava per casa in quel periodo. Non c'erano piu ostacoli, barriere, nè limiti. Finalmente potevo fare tutto quello che volevo senza nessuno che mi dicesse cosa fare. Dopo non molto tempo mi sono reso conto che questo stile di vita non mi rispecchia, e soprattutto non mi avvicina ai miei sogni. Non sono motivato ad allenarmi, gli stupefacenti agiscono negativamente facendomi perdere la tonicità fisica. Dopo non molto tempo riscopro con mio grande stupore che è proprio in quelle regole che ero veramente libero, che ero me stesso. Questa è la mia avventura, l'avventura del "Partigiano della Breakdance". 



martedì 11 febbraio 2025

Terza tappa del libro di Mirko Zullo "SE LA VITA TI OFFRE LIMONI" edito Santelli.

Buongiorno Amici Lettori ! 

Oggi la terza tappa del libro di Mirko Zullo "SE LA VITA TI OFFRE LIMONI" edito Santelli.







Tematica 2: Conseguenze delle proprie scelte

Talvolta si è detto che questo è un romanzo sulla scelte. Io credo invece e soprattutto che questo
sia anche un romanzo non tanto sulle scelte, ma sulle conseguenze delle scelte fatte.
Marco, il protagonista, non vuole abbandonare del tutto i suoi sogni e, pur di tentare un passo in
avanti verso di essi, accetta la bizzarra proposta di Iacopo, produttore genovese di film hard, il
quale lo arruola come video operatore. Non importa il genere, sempre di cinema stiamo parlando,
sosterrà per convincere Marco a provarci, a mettersi in gioco, a discutere della propria morale con
cui è cresciuto.
Però Marco è anche il personaggio per eccellenza che lascia sempre tutto a metà, come farà con
gli studi, e dunque accetterà l’incarico offerto da Iacopo ma, pensando di proteggere il suo
piccolo mondo di relazioni e affetti, terrà nascosta la vera natura dell’incarico a Maria. Una bugia
buona per come la vede lui, una bugia atta a proteggere, a non smuovere le correnti. Invece La
scelta di mentire sarà proprio la causa delle maggiori disgrazie future di Marco, non ultimo la
verità che risale sempre verso galla, che si fa spazio dagli abissi alla superficie e che porterà
Maria a decidere di abbandonare Marco, di scomparire per non farsi ritrovare. Anche il lavoro non
terrà a lungo nel tempo, ma il vicolo cieco in cui Marco si ritroverà a metà di questa storia non è
cieco del tutto, solo dovrà lui imparare a guardare quanto la vita gli offrirà con occhi e cuore
diversi. Come gli ripete spesso Iacopo, “se lavata ti offre limoni, Marco, tu ti fai una limonata o un
gin tonic?”. Siamo sempre e solo noi a decidere cosa fare della nostra vita con quanto la vita
stessa ci offre.

lunedì 3 febbraio 2025

"SE LA VITA TI OFFRE LIMONI" di Mirko Zullo edito Santelli BLOG TOUR 2 Tappa

Buongiorno Amici Lettori ! 

Oggi la seconda tappa del libro di Mirko Zullo "SE LA VITA TI OFFRE LIMONI" edito Santelli.










Tematica 1: Sogni e radici

Una delle tematiche fondamentali di questa storia sta nell’importanza, o forse meglio, nel peso e nell’influenza che sogni e radici hanno nella vita delle persone. Marco, il protagonista, è un

ragazzo di Genova di trent’anni che nella vita vorrebbe affermarsi come regista. Su questo Marco non ha dubbi, quella è la sua strada, la sua vita, perché il cinema è ciò che gli da la scossa nelle giornate di calma piatta, quando lo sconforto del pensiero del futuro si fa burrascoso, impetuoso.

Marco capisce l’importanza che i sogni hanno nella vita, però fatica a relazionarsi pienamente con

essi, perché talvolta comprendere di essere bravi in qualche cosa può spaventare. E Marco ha paura del suo talento, perché essere davvero bravi in qualche cosa talvolta implica scelte difficili, rinunce, non ultimo - per lui - il problema di dovere abbandonare Genova e Maria, la fidanzata.

Maria lavora come segretaria in uno studio legale, un lavoro stabile, sicuro, redditizio quanto basta e non vuole trasferirsi. Come Marco stesso dice già nelle prime pagine: nella vita non sono quasi mai i nostri sogni ad essere sbagliati, ma le persone con cui cerchiamo di concretizzarli.

L’influenza delle circostanze appesantisce la lucidità artistica di Marco, così come Genova, città non scelta a caso. Una città che non è una vera e propria metropoli come può essere oggi Milano,

Roma, una città che è una sorta di provincia allargata, e che come la maggior parte delle provincie italiane, ti culla e ti accudisce, ti fa sentire protetto, accolto, e poi fatichi a voltarle le spalle. Genova è la città del “vorrei ma no posso”, proprio come Marco.

martedì 28 gennaio 2025

" SE LA VITA TI OFFRE LIMONI " di Mirko Zullo edito Santelli Blog Tour 1 Tappa.



Buongiorno Amici Lettori ! 

Oggi la prima tappa del libro di Mirko Zullo "SE LA VITA TI OFFRE LIMONI" edito Santelli


TRAMA

Marco non sa mai scegliere tra cono o coppetta, non ha mai la risposta giusta al momento giusto e ha sempre lasciato tutto a metà. Studi, sogni, relazioni. L’unica presenza stabile nella sua vita è Maria, con cui si è fidanzato l'ultimo anno delle superiori. Lei è segretaria in uno studio legale, lui lavora come operatore video per Iacopo, bizzarro produttore di film pornografici. Questo però lei non lo sa, perché Marco è convinto che mentire equivalga a proteggere. In pochi anni diventerà socio della Capriccio Production, una delle più promettenti case di produzioni hard italiane fondata da Iacopo. E il gioco reggerà fintanto che il mercato del porno non cambierà. In bancarotta e abbandonato da Maria, che nel frattempo scopre la verità, Marco si chiede se i compromessi fatti sino ad allora con affetti e con la propria morale abbiano davvero avuto un senso. Tutto ciò che vorrebbe è provare a salvare quel futuro in cui, dopotutto, né lui né Maria sembrano avere smesso di credere. 


AUTORE

Mirko Zullo, nato sul Lago Maggiore, è scrittore e

regista. Ha ricevuto il Cavalierato Giovanile alla

Cultura e ha esordito nel 2018 con Nonnasballo

(Cairo Editore), romanzo vincitore del Premio

Nazionale Zanibelli. Per il cinema ha diretto nel

2022 il film Il violinista, con Edoardo Romano e

con l’esordio sul grande schermo di Davide

Mengacci, distribuito da Amazon Prime Video.