Oggi il Blog partecipa alla seconda tappa del Blog Tour di "Come un'onda che si tuffa sullo scoglio" di Giorgio Bernard edito Felici Editore.
l libro è ordinabile in tutte le librerie e può anche essere acquistato
direttamente dal sito dell'editore:
L'associazione culturale che gestisce la collana: www.associazionequlture.it (il
direttore della collana AcquaRagia è Antonio Celano).
Trama:
Ề un piovoso mattino di inizio estate e uno sventurato turista fiorentino,
col figlioletto stretto per mano e la caldaia di casa rotta, entra per
disperazione più che per caso in un baretto desolato, l’unico disponibile nella
microscopica località di villeggiatura che ha scelto per trascorrere le
vacanze. Scopre che a mandare avanti il locale non è un barista qualunque, ma
Roberto Tancredi, portiere della Juventus negli anni Settanta.
Intrappolato nel fitto mosaico di foto che sono incollate sulla bacheca del
locale, ma soprattutto dalla dialettica fatta di parole roboanti e gestualità
sanguigna del suo anfitrione, lo sfortunato villeggiante si trova catapultato
dentro le istantanee che immortalano una vita: venti fotografie, venti titoli,
venti partite: da “Scapoli-Ammogliati” dell’estate del Settantuno alla finale
di Coppa delle Fiere della primavera precedente; da un afoso mattino di fine
anni Cinquanta a un sonnolento match di fine campionato del Duemiladue.
Una galoppata frenetica attraverso i momenti cruciali di una vita, di molte
vite, in cui il calcio non è che un’occasione iniziale, il titolo di un
capitolo, iniziato e poi chiosato dal racconto in prima persona del padrone di
casa, Tancredi, con la sua forza incontenibile di narratore e affabulatore…
a partire dal prologo, “Riscaldamento” (però quello di cui si sta parlando non
è il riscaldamento dei muscoli a inizio gara, quanto la caldaia collassata
dello sciagurato turista), fino ad arrivare a “Zona Mista”, l’epilogo che non
sta a identificare il punto dello stadio in cui i giocatori rilasciano
interviste a fine partita, quanto piuttosto il quartiere di canteri ancora
aperti nel cuore di Ibiza, dove Roberto Tancredi e Igor Protti ormai in là con
gli anni, fumando sigari e bevendo rhum, stanno pianificando la loro fuga dalle
serie dilettantistiche spagnole.
Un romanzo che racconta più di cinquant’anni di vita e storia italiana,
descrivendo e demitizzando le icone che hanno contribuito a plasmare e poi
inevitabilmente deludere tre diverse generazioni.
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Oggi ci occupiamo nello specifico dei PERSONAGGI:
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Personaggi:
Il numero di personaggi che appaiono nel romanzo è davvero impressionante e sarebbe difficile e in massima parte superfluo fornirne un elenco anche solo approssimativo, soprattutto per quanto concerne i protagonisti che compaiono una volta soltanto e mirano a rappresentare il volto di una fugace esperienza del protagonista, piuttosto che un suo rapporto consolidato e duraturo. Di seguito mi limiterò, pertanto, a dare conto dei personaggi che interpretano un ruolo caratterizzato da una certa stabilità nel corso della vicenda.
Roberto Tancredi: Il
protagonista è visibile nel romanzo in una duplice veste e in due diversi
contesti temporali. In apertura di romanzo (e a intervallare i diversi capitoli
in cui è suddivisa la trama) egli è un attempato signore, che offre riparo a un
turista e suo figlio dentro al bar di un paesino del litorale toscano e inizia
a narrare in prima persona la sua storia. Il Roberto anziano è un uomo risolto,
anche se non pienamente appagato, e, malgrado i rimpianti e le rimostranze che
rivela ai suoi ospiti inattesi, sembra tuttavia aver trovato un equilibrio e
una propria pace interiore. Il Roberto giovane, di contro, è un uomo taciturno
e perennemente insoddisfatto, combattuto tra il bisogno di migliorarsi e una
propensione istintiva a mettere tutto in discussione; è un carattere forte,
tutto spigoli, con un suo marcato e non smussabile senso del giusto e
dell’ingiusto, del torto e del diritto, che sarà il motivo principale dei suoi
numerosi problemi di relazione e dei rovesci di fortuna che patirà nel corso
del romanzo. Riporto qui di sotto un brano che può valere a identificarlo.
«Il mese prima, quelli di ‘Hurrà Juventus’ erano tornati al campo
d’allenamento per una delle classiche interviste ai giocatori. Di solito facevano
domande innocue, da giornalino della parrocchia: “Chi vincerà San Remo?” “Qual
è secondo voi la più bella attrice del momento?”
Oggi invece l’argomento era più tecnico: “Ci può dire quali sono i tre
più forti giocatori del mondo, secondo lei?”
‘Pelé’ avevano risposto quasi tutti: ‘Overath’, ‘Moore’, Beckembauer’.
Difficile trovarne anche uno solo che non fosse perfettamente allineato.
Accanto a Roberto si allenava il giovane Montorsi: ciuffo di capelli
scuri e basette folte, un talento cristallino, proveniente dal Mantova.
Oltretutto si chiamava Roberto pure lui.
“E lei, signor Montorsi? Per lei qual è il giocatore più forte del
mondo?”
“Boh… Pelè penso…” aveva risposto lui, continuando a fare la bicicletta:
“…e poi anche il Jack Charlton, lui sì che è forte!”
“E poi? Riesce a dircelo un altro nome?”
Il ragazzo si era messo seduto, spalancando un sorriso che faceva star
bene.
La Juventus lo ha preso a inizio stagione per fargli fare da riserva a
Haller; giocherà sì e no una decina di minuti, guadagnandosi con la stampa la
fama di svogliato e incostante, e tornandosene a Mantova due anni più tardi,
ormai messo ai margini, fuori condizione, pronto per chiudere la carriera,
malgrado la giovanissima età.
Roberto aveva incrociato il suo sguardo, sorridendogli di rimando, quando
Montorsi aveva aperto bocca e dato fiato alle trombe.
“E poi c’è Tancredi!” aveva sentenziato, puntandogli contro un dito:
“Tancredi è fortissimo!”
A Roberto era scappata una grassa risata.
“E per lei, signor Tancredi? Quali sono i giocatori più forti del mondo?”
“Beh… Montorsi, direi” aveva risposto, ancora ridendo.
Quelli di ‘Hurrà’ invece non ridevano, si vede che la battuta non
l’avevano capita.
“E poi Pelé… Pelé senz’altro.”
“E il terzo? Ce lo può dare un terzo nome, signor Tancredi?”
Adesso era Roberto che si era fatto serio; guardava lontano, sembrava
stesse facendo di sì con la testa.
“Chi è il terzo, Tancredi?”
“Il terzo è Franzon” aveva risposto lui, senza cambiare espressione:
“Sicuramente Roberto Franzon”.»
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Mariella
Tancredi: La moglie del protagonista è la persona che gli
resta accanto per tutta una vita, condividendone e cercando di addolcirne le
delusioni, i dolori, mediando costantemente fra il mondo esterno e il carattere
burbero e poco accondiscendente del marito. Si tratta di un personaggio dal
carattere forte, battagliero, sempre positivo, apparentemente a proprio agio
pure nei contesti sociali più sgradevoli e improbabili.
«“Certo che sì” aveva detto il luminare: “Guardi un po’ questa macchia
quaggiù”
Quindi gli aveva piazzato sotto al mento il foglio nero della
radiografia.
Roberto guardava, come gli era stato detto di fare, però non riusciva a
veder niente. A parte un tondino un po’ più chiaro, nel centro esatto del
polmone.
“È poco più grande di una monetina” aveva precisato il dottore, “Deve
avercelo da un paio di annetti, ormai.”
“Sì, ho capito, dottore” aveva borbottato lui: “…ma che cos’è di
preciso?”
“Questo non glielo so dire. Per essere sicuri bisognerebbe intervenire…
e, dopo l’intervento, analizzarlo.”
Roberto aveva preso un respirone: dottori e operazioni non gli mettevano
paura, figurarsi: era più indolenza la sua, non sopportava l’idea di perdere
tempo in loro compagnia, ecco tutto.
“Guardi, Tancredi, che è una cosa da poco, una sciocchezza.”
“Che cosa?” aveva chiesto lui, risollevando lo sguardo sul volto lucido e
smagrito del primario.
“Potremmo intervenire passando fra una costola e l’altra. E lei sarebbe
di nuovo in piedi in un paio di mesi, forse anche meno.”
“No, io non posso” aveva tagliato corto Roberto, rialzandosi in piedi,
“Adesso ho da fare, una stagione da portare in porto. E poi come faccio? …con
la bimba che mi nasce a Gennaio…”
Mariella non era d’accordo, ovviamente.
“Come fai a dire una cosa del genere?” le ha domandato lui.
Lei ha scrollato le spalle, con aria saputa.
“Ti pare possibile che mi hanno lasciato a casa solo perché si sono
accorti di quella monetina che ho dentro al polmone?”
“Me l’hai raccontato te, no?”
“Che cosa?”
“Delle facce che faceva il dottor La Neve, il medico della Juventus,
tutte le volte che ti guardava le lastre!”
“Ma per piacere, Mariella…”
Lei ha scosso la testa, fingendosi spazientita.»
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Roberto
Franzon: Franzon è l’amico di una vita, il compagno di
avventure che Tancredi conosce fin da bambino, ben prima di cominciare a
giocare a pallone. Del portiere della Juventus, Franzon è l’esatto opposto: il
talento cristallino che a Tancredi non è mai stato riconosciuto, ma anche
l’etichetta di perdente appiccicata addosso, mentre l’amico ha sempre indossato
le vesti di un predestinato. Ha un carattere solare e uno spirito guascone, nel
quale Tancredi riesce sempre a trovare uno stimolo, un contraltare positivo,
pure nei momenti difficili, in cui le alterne vicende delle due opposte
carriere sembrano quasi volerli dividere.
«La notizia del
trasferimento al Potenza in serie B era arrivata poco prima dell’inizio delle
vacanze e per Roberto era stata splendida: più vicino a casa, anche se di poco…
e molto più vicino alla serie maggiore.
Aveva incrociato Franzon sul lungomare di Crepatura, due giorni prima di
partire per il ritiro: camminava sottobraccio con Stefania, la fidanzata,
proprio come lui faceva con Mariella.
Si erano fermati a metà del ponticello vicino ai bagni Trieste e sulle
prime Roberto non aveva saputo cosa dirgli.
“Non ti si è visto per niente, quest’estate!” aveva deciso di rompere gli
indugi Mariella; quel giorno aveva una borsetta di pelle bianca e due scarpine
dello stesso colore.
“Eh, no…” aveva bofonchiato Franzon in risposta, “Ai Canottieri
quest’Estate non ci sono venuto… La rena di qui è molto più adatta per le
sabbiature, sai… Me l’ha detto il dottor Scaglietti.”
A Roberto non era riuscito di rispondere che con un paio di cupi
grugniti: si sentiva bloccato, non sapeva dire il perché.
“Sembrava di rivederti in uno specchio” gli avrebbe poi detto Mariella,
poco dopo.
“Uno specchio?”
“Ma sì. Avevate tutti e due gli stessi sandali, la stessa polo indosso… e
anche la stessa faccia, a dirla tutta.”
Era la faccia di chi avrebbe tante cose da dire ma proprio non ci riesce,
aveva detto lei; Roberto, però, credeva di avere visto qualcosa di più sulla
faccia di Franzon: non la delusione o la tristezza che si sarebbe aspettato,
solo contentezza e sincero affetto.
“E insomma… come ti va?” era riuscito finalmente a domandare al vecchio
amico.
“Eh… come al solito” aveva risposto quello, sorridendo, “…ogni anno si
semina, ma mica per raccogliere l’anno dopo. Si semina per avere qualcosa da
seminare di nuovo.”
“Eh sì” aveva convenuto Roberto.
Stava rimuginando su queste cose, ormai sulla strada del ritorno, quando
Mariella aveva bruscamente cambiato discorso.
“Si sposano, lo sai?” aveva mugugnato.
“Come?”
“Lui e Stefania” aveva precisato, “Si sposano la primavera prossima.”
E mentre diceva così, teneva gli occhi fissi sul selciato, il viso
pensieroso, incorniciato dai capelli dorati.
Roberto allora l’aveva presa per mano, rallentando il passo. L’aveva
fissata intensamente e poi…»
·
Fabio
Capello: Nel gioco delle parti che segue inevitabile alla
scelta di trasformare persone reali in personaggi, a Fabio Capello è toccato il
ruolo di ‘cattivo’ del romanzo: la sua espressione perennemente accigliata e il
suo ruolo storico di ‘eterno cavallo di ritorno’ fra mondo romanista e mondo
juventino hanno facilitato non poco il compito di chi scrive. Fatto sta (e
questa non è invenzione ma storia) che è stato proprio lui a causare il grave
infortunio che ha strocato la carriera di Tancredi.
«“Mi hanno visto” aveva pensato Roberto, “In televisione mi hanno visto
tutti, che non ho mosso un muscolo, che sono rimasto bloccato, mentre la palla
rimbalzava come dentro un flipper.”
Adesso sì che la stampa l’avrebbe impallinato e poco importava che la
Juve riuscisse a qualificarsi alla semifinale. L’avrebbero crocifisso di
sicuro, ancora peggio che dopo la partita col Bologna.
Perani, che si era appena stirato e stava uscendo dal campo, aveva fatto
partire un tiraccio che somigliava più a un gesto di stizza che a una
conclusione vera e propria; la palla era rimbalzata in mezzo a una selva di
calzettoni bianconeri e Roberto, già in tuffo, si era visto scavalcato da una
parabola maligna.
Bologna uno, Juventus zero. Gli toccava tornare a casa con quel
risultato, con quella colpa cucita addosso.
“L’hai toccata te!” aveva sbraitato, affrontando Capello a muso duro,
negli spogliatoi.
Il centrocampista friulano gli aveva risposto con uno dei suoi sguardi
taglienti, ma non aveva detto nulla, non aveva nemmeno cambiato espressione.
“Lo devi dire, Fabio… quella palla l’hai deviata te?”
Come se questo potesse cancellare il gol subito.
Capello aveva ridacchiato, lanciandogli un’occhiata di scherno.
“Come sarebbe a dire ‘deviata tè’?” aveva mugugnato, scimmiottando
l’inflessione toscana: “Non dire cretinate, Fred.”
Per riportare la calma c’era voluto l’intervento di Furino, a fare da
paciere.
Sul treno, durante il viaggio di ritorno, la tensione era palpabile; tra
compagni continuavano a scambiarsi occhiate nervose e dentro il vagone non
volava una mosca. Tutti zitti e immobili. Tutti a parte Picchi.
L’allenatore continuava a camminare avanti e indietro lungo il corridoio,
la faccia contratta in una smorfia di dolore.
“Cosa fa, mister?” gli aveva domandato Morini, “Non si viene a sedere?”
“Non ce la faccio” aveva risposto lui, “La schiena mi fa un male
tremendo… Non riesco nemmeno a stare fermo.”
Lo avevano ricoverato il giorno dopo, ma nessuno in squadra conosceva i
dettagli, nessuno aveva detto loro mezza parola al riguardo.»
·
Gianluca
Congiu e il figlio: Unici personaggi di fantasia del
romanzo, sono i due sventurati turisti capitati nel bar di Tancredi durante un
violento acquazzone e hanno lo scopo precipuo di ‘traghettare’ il lettore
all’interno della trama. Il padre, Gianluca, ha un passato da tiepido tifoso,
capace di infiammarsi solo in occasione di eventi epocali come i mondiali dell’
82… esattamente come la maggior parte di noi comuni mortali, italiani medi
schiavi di un rito, quello pallonaro, di cui effettivamente conosciamo ben
poco… ma che ogni volta riesce a trascinarci agli estremi
parossistici di un’isteria di massa.
«Roberto si ferma di fronte al bancone e si volta ad aspettare il turista
fiorentino con cui ha trascorso buona parte della mattinata.
La luce che filtra dalle vetrate è talmente intensa che Gianluca è
costretto a ripararsi gli occhi.
Oltre il portico adesso è Estate piena e frotte di villeggianti sciamano
distratti in mezzo alla provinciale, con borse e ombrelloni fra le mani e abiti
sgargianti indosso.
Per strada è tutto un correre e gridare, uno strombazzare di macchine in
coda, quasi che il freddo e l’acqua del primo mattino non fossero stati
nient’altro che un sogno.
“…e decise di andare in pensione?” domanda il Fiorentino.
“Proprio così” risponde Roberto, ballonzolando inquieto.
“…e si è ritirato in questo modo? Dalla sera alla mattina?”
La risposta è un frettoloso cenno di assenso, ma Gianluca non riesce a
crederci: abbandonare il calcio di colpo, dopo cinquant’anni di gioie,
amarezze, trionfi, sconfitte… Cinquant’anni di malattia, come l’ha definita
Roberto.
“Sì, insomma, pressappoco così…” corregge il tiro il vecchio portiere,
che deve avere intuito la perplessità del proprio ospite.
Fuori dal bar, un clacson risuona cinque volte, in quello che ha tutta
l’aria di un richiamo convenuto.
“Diciamo che, per prendere quella benedetta decisione, un altro paio di
annetti ce li avrei messi, ecco… Però la svolta è stata proprio in quel momento
lì, diciassette maggio del duemilatré, la trasferta di Cosenza. Quel
collassetto che…”
Gianluca rimane imbambolato, per niente convinto dalle parole che ha
appena sentito; come a volergli dare conferma, Francesco, il figlio di Roberto,
mezzo nascosto dalla vetrinetta della pasticceria, ridacchia sornione al suo
indirizzo.
Lo stesso clacson di prima risuona una seconda volta e un uomo sulla
settantina scende dalla macchina e lancia un grido verso l’interno del bar.
“Oh, Pasèro! Ti muovi?! I saraghi non aspettano mica noi!”
Ha ancora un fisico asciutto e nervoso, il viso scuro incorniciato da
folti capelli bianchi.
“Facciamo così” bofonchia Roberto, riscuotendosi. “Tanto lei è qui in
vacanza, no? Perché non torna a trovarmi una di queste mattine? Così le
racconto come è andata a finire la storia.”
Non lascia a Gianluca il tempo di rispondere e si fionda fuori dalla
porta, scendendo gli scalini tre per volta.»